ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS
Disamina critica
"La vita buona
nella società attiva”
Premessa
Il testo esprime in nuce la più generale visione della società da parte dell'attuale governo ed è per questo di grande interesse.
Il suo taglio per così dire “sociale”, il suo presentarsi come parte di un tutto, è funzionale a dissimulare il vero progetto complessivo, che qui ritroviamo e che lo stesso autore ci dice confluirà a breve in un nuovo Libro Bianco, summa teorica della politica del governo e del nuovo assetto che si intende dare alla società, al lavoro, allo Stato.
Lo studio e la critica di questo testo è quindi fondamentale per comprendere le scelte che l'attuale governo sta compiendo e farà in futuro.
I temi
Per la trattazione dei temi seguiremo lo stesso ordine di esposizione del Libro Verde, tentando di sottolinearne natura e carattere.
Pertanto le riflessioni riportate di seguito presuppongono la lettura del testo del libro.
Cap. I
Riforma modello sociale
Si parte da un assunto: l'attuale modello presenta disfunzioni e sprechi, e a supporto di tale assunto si richiama uno studio della Commissione Onofri del 1997!
Già qui si coglie tutto il carattere approssimativo e strumentale dell'operazione: non è cambiato nulla dal 97 ad oggi? Riforme pensionistiche, tagli alla spesa sociale, riforma e ottimizzazione della Pubblica Amministrazione, etc.
E così, a conferma di quell'assunto (che non viene mai né illustrato né analizzato rispetto alle cause), si portano dati relativi alla spesa sociale in Italia ed in Europa in modo strumentale e non preciso come bene osserva il prof. Maurizio Cinelli di cui riportiamo qui un breve stralcio:
“E, comunque, quanto al confronto con la spesa per le pensioni negli altri paesi dell’Unione, di cui alla tabella che figura nel Documento, va osservato (per così dire, “in fatto”) come la spesa pensionistica italiana risulti, sì, superiore nelle cifre, ma non lo sia nei fatti (o non lo sia in misura corrispondente).
La realtà (da tempo ben nota agli analisti del settore) è che l’indicazione di detta spesa nel nostro paese tiene conto non già delle sole pensioni erogate dall’apparato pubblico, ma di tutta la spesa che il principale ente deputato alle pensioni, l’INPS, affronta per vincolo di legge. E in quest’ultima spesa sono notoriamente compresi anche i cospicui costi degli interventi di natura assistenziale, posti a carico di quell’ente, anziché dell’erario; interventi che, comunque, negli altri paesi risultano inseriti sotto altre voci di bilancio.
D’altra parte, la specifica voce di spesa andrebbe depurata – a voler essere precisi, nel raffronto con la realtà degli altri paesi – dai prepensionamenti: cioè, dai perduranti costi di quelle operazioni (nel nostro paese avviate, come è ben noto, in ripetute, anche non remote occasioni), nelle quali la pratica dei pensionamenti anticipati è stata utilizzata come ammortizzatore sociale.
Ma detta voce andrebbe anche depurata, a voler essere veramente rigorosi, anche dall’imposta sui redditi: cioè, da quelle somme che i pensionati restituiscono alla mano pubblica, e che, dunque, in concreto, riducono l’entità della spesa sociale effettiva.
Né, infine e comunque, appare giusto che il testo ministeriale in esame abbia omesso di registrare (quantomeno per debito di obiettività) che la spesa pensionistica ha comunque svolto fin ora – e tuttora svolge – un ruolo assai importante per quanto riguarda la promozione delle condizioni di vita e i destini della popolazione nazionale”.
Già da questo esordio il ministro non sembra interessato ad analizzare la realtà delle cose, quanto piuttosto costruire un impianto giustificatorio del proprio pensiero, e questo come vedremo sarà una costante fino all'ultima pagina del libro.
Dal corpo di questi dati, così raccolti ed esposti, Sacconi estrapola e isola immediatamente uno dei temi che ritiene principali: la spesa sanitaria, e batte sull'insostenibilità economica del trend di crescita di tale spesa individuandone le cause:
“Il consumo delle risorse socio-sanitarie per le persone oltre i 75 anni è 11 volte superiore alla classe di età 25-34. I pazienti cornici rappresentano il 25% della popolazione e assorbono il 70% della spesa”
Quello che qui va fissato non è tanto il dato, scontato e ovvio, che un anziano assorba più risorse sanitarie di un giovane: se così non fosse l'intera società denuncerebbe uno stato di salute compromesso irreparabilmente!
É questo, cioè, un dato naturale, fisiologico, prevedibile e pre stimabile.
Portarlo come elemento di causa dell'insufficienza del modello sociale è già di per sé un criminalizzare, da un lato l'invecchiamento e dall'atro lo sviluppo della ricerca e delle tecnologie in grado di curare e preservare la vita più a lungo che in passato.
É un criminalizzare, insomma, lo stesso sviluppo dell'uomo che in questa logica diventa la causa della propria rovina sociale!
È il dichiarare, poi, tutta la propria incapacità a gestire la società e le complesse dinamiche che oggi esistono.
Ma oltre a questo, occorre prestare attenzione alla contrapposizione, resa e tradotta con numeri e percentuali, che si attua tra la categoria ultra 75 enni e classe di età tra i 23-34: questo fatto è voluto e cercato.
È la quintessenza della logica di questa classe politica e delle politiche del governo Berlusconi; è la visone di una società spaccata, divisa, in lotta.
È la visione di una società che crea divisioni e competizione fino all'alternatività di pezzi del suo stesso corpo.
È “l'homo homini lupus”, è la lotta di tutti contro tutti.
L'intero libro ha a base la volontà di ricacciare e lasciare dentro questa logica l'intera società, attaccando il patto sociale che la lega e la tiene assieme (costituzione, stato, corpi intermedi, fisco, previdenza,etc..) e introducendovene uno diverso che non risolve, come vedremo, ma esalta quella contrapposizione.
Questo in definitiva sarà, come vedremo, il progetto che si vuole realizzare.
Procedendo nella lettura, si passa a stigmatizzare la differente resa dei servizi socio sanitari nel paese, la differenza tra Nord e Sud a parità di spesa, affermando che il problema non sta nelle “carenza dei mezzi” e si citano numeri preoccupanti in specifiche regioni:
“Sono ben tredici le regioni che segnalano un disavanzo. L'85%del disavanzo complessivo si concentra in Lazio, Campania e Sicilia”.
Non si dice nulla qui sulle cause, sui meccanismi, sul perché esista una simile condizione e quindi sul come si debba intervenire per correggerla.
Nulla sul peso della sanità privata in quelle regioni e sulle risorse che assorbono, a fronte del livello di qualità di prestazioni che offrono; nulla sulla gestione di Appalti e consulenze, altro importante capitolo di spesa di molte amministrazioni pubbliche; nulla sul grado di gestione affaristica dello Stato che in questo settore ha portato a....
L'intera complessità del fenomeno è ridotta alla categoria “sprechi” e “disfunzioni” del vecchio modello, in modo astratto e generico.
Questo modo di procedere è l'essenza stessa del metodo del libro: nessuna analisi, ma solo annunci; estrapolazione e assolutizzazione di uno o più dati isolati dal contesto; costruzione del pensiero e sua auto giustificazione.
Un impianto astratto, destituito di qualunque validità scientifica, metafisico.
Ma la logica di spaccare il corpo della società civile dividendola per classi di età, aree regionali, stato di salute, condizioni di nascita e di vita e di lavoro continua senza tregua.
“I costi operativi......l'inefficienza”
A questo punto Sacconi compie un salto e passa dalla questione dei costi dell'assistenza, etc.. al secondo tema su cui insisterà con forza: la spesa per le pensioni, e dice:
“L'eccesso.....e dei poveri”
Insomma cittadini del nord contro quelli del sud; spesa previdenziale contro gli attivi, i disoccupati, i disabili, le donne, le madri, gli emarginati ed anche i poveri!
Qui è del tutto evidente la logica di contrapporre finanche gli interessi dei disabili, delle madri, dei giovani a quelli degli anziani non produttivi (ovvero non attivi)!
L'uso di queste categorie, inoltre, denuncia tutto l'intento ideologico del libro.
Un “giovane”, infatti, poterebbe anche essere un “disabile” e assorbire spesa sanitaria quanto un “anziano”: si pensi al numero enorme di infortuni sul lavoro, a quello degli incidenti stradali, malattie congenite, etc...
Uno stesso “anziano” può molto facilmente essere anche un “disabile” (lo stesso ministro ci ricorda numeri alla mano quanto disabilità c'è nella vecchiaia!); una “madre” o un “giovane” potrebbe avere a carico i propri genitori, assisterli ormai anziani e quindi aver bisogno di.....
Insomma anche nella scelta, oltre che nell'uso violento, delle categorie tramite le quali il pensiero del libro verde si sviluppa emerge quella genericità, astrattezza, confusione e strumentalità di cui prima si diceva.
Ma andiamo avanti.
Sempre in tema di spesa pe rpensioni, poco dopo Sacconi ci dice quanto oggi pesino e contino i settanta cinquenni e i grandi anziani oltre gli 80 anni...rispetto al 1951! (Quando bisogna darsi ragione a tutti i costi....)
E chiarisce che “invecchiamento” è “disabilità”:
la disabilità è il 12 % degli ultra 65 enni, ovvero metà della disabilità complessiva che è pari a 2,5 milioni di persone, di cui 900 mila “confinati in strutture”.
Tra gli ultra 80 enni 1 su 3 è disabile.
Il lasso di tempo che va dai 75 anni agli ultra 80 anni è di 10 anni per l'uomo e di 12,5 anni per le donne.
Tuttavia, il “punto importante” sta nel fatto che in questo intervallo di tempo la quota di “vita attiva” e cioè di vita produttiva (come vedremo più avanti) è, rispettivamente, per gli uomini di soli 1,8 anni e per le donne di soli 2,1 anni.
Il resto è disabilità.
Il resto non fa “vita attiva”.
Il resto non è produttivo.
Sorvolando sui calcoli delle dinamiche demografiche che risultano palesemente in contraddizione con le dichiarazioni sull'allungamento della vita degli uomini e delle donne (per le quali nel documento si afferma che “la durata media della vita ha raggiunto i 77 anni per gli uomini e gli 83 anni per le donne”, ma, subito dopo, per spiegare il costo crescente richiesto al sistema previdenziale (oltre che al Servizio sanitario e ai servizi sociali), si afferma che “in Italia, a 75 anni, l’uomo ha una aspettativa di vita di 10 anni e le donne di 12,5 anni”) si esprime qui con raccapricciante lucidità, tutta la brutalità della visone che l'autore ha della società.
Si esprime con precisione e minuta pignoleria, qui sì, analizzando e scandagliando, tutto il senso di rifiuto e di fastidio verso ciò che non si capisce: la vita sociale degli uomini!
Tutto ciò che della vita non è attivo, produttivo (e vedremo poi dopo secondo quali regole e quali standard di produttività) è peso, carico, danno per la società per giovani, donne, bambini, disabili, etc..
Si esprime qui con chiarezza l'insufficienza, oltre alla brutalità, del pensiero e degli orizzonti di questa classe politica dominata dall'incapacità di gestire la società, la complessità della vita oggi, la varietà, la ricchezza, le opportunità che oggi grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico e al più complessivo procedere della società si pongono agli uomini e alle donne, sia riguardo al proprio lavoro che al tempo libero, che alla vecchiaia, interpretando un tale sviluppo quale costo, catastrofe, problema da risolvere ed eliminare.
Ed allora ben si comprende la chiusa di questo passo,
“ Da qui il costo crescente richiesto al servizio sanitario”
Tutto qui! Colpa dei 75 enni, degli 80 enni, etc, etc...
Non si menziona altro: spesa farmaceutica, strumentistica, edilizia sanitaria, appalti, consulenze, gestione affaristica, corruzione.
Nulla nemmeno riguardo alle sempre più avanzate scoperte tecnologiche e scientifiche e le ricadute che hanno in settori come, per esempio, la rianimazione, l'emergenza, etc..;
nulla sullo sviluppo di cure attraverso strumenti sempre più sofisticati e meno invasivi o lo stesso sviluppo di apparecchiature sanitarie nella diagnostica e sui normali costi di cui necessitano.
Tutto questo scompare: prima viene ridotto a semplice ”costo”, a fatto negativo, e poi viene scaricato sui 65 enni, 75 enni e ultra ottantenni, oltre che sul loro essere “disabili”, ovvero sul loro non essere “attivi”.
Poco più sotto si dirà anche cosa si intenda per “attivi”: atti a lavorare.
Per ora va fissato questo concetto che, più avanti, rivelerà tutta la sua forza e importanza nell'impianto del libro verde.
Dopo aver denunciato gli alti costi del modello sociale attuale, il ministro compie un salto e ci dice esplicitamente che la legge non è ancora riuscita a controllare la spesa pensionistica, dandole stabilità, a causa dei movimenti demografici e che per tanto occorrerà intervenire, in pejus, sui coefficienti pensionistici, i lavori usuranti, ponendosi il seguente obiettivo:
“Rendere neutrale ai fini della spesa l'allungamento del periodo di percezione delle prestazioni.”
I problemi, le preoccupazioni e le soluzioni per il ministro sono poi tutte qui: allungamento dell'età pensionabile, riduzione della platea dei lavori usuranti.
Ovvero, fare in modo che più persone restino al lavoro, e quindi restino “attive”, il più a lungo possibile!
In questo sta tutto il problema delle risorse per il welfare!
In questo si realizza “La vita buona nella società attiva”!
Lo stesso concetto di “rendere neutrale...” altro non significa che dare meno prestazioni previdenziali e possibilmente meno a lungo; significa scaricare sulle spalle dei pensionati -e a loro danno- il fatto che campano di più.
Lo stesso vale per i lavoratori attivi riguardo ai lavori usuranti.
Sempre in un rapido succedersi di cambi di fronte, a pagina 8, Sacconi introduce il tema delle tutele attive dei disoccupati che definisce deficitarie, individuando le criticità nei:
criteri di eleggibilità
durata
ammontare
Anche per i disoccupati la musica non cambia: vanno riviste sia la platea degli aventi diritto, che la durata che l'ammontare economico della prestazione.
Insomma dopo essersela presa con anziani, anziani/disabili, lavoratori impegnati in attività usuranti, adesso tocca ai disoccupati.
Il nesso è sempre lo stesso: la vita attiva, ovvero atta a lavorare.
Torna con insistenza e prepotenza questo tema che non va mai abbandonato o smarrito perché si rivelerà la chiave di lettura dell'intero libro verde.
Come per anziani, disabili e lavori usuranti, anche riguardo ai disoccupati manca una seppur minima analisi economico, sociale, politica.
Nulla si dice riguardo alla dinamica economica produttiva del paese e internazionale, nulla dei cicli economici che impattano direttamente sul livello e la quantità di produzione e quindi sulla quantità di manodopera impiegata o disoccupata; nulla nemmeno riguardo all'uso della riserva di disoccupati per calmierare le richieste salariali delle organizzazioni sindacali.
Anche la categoria dei “disoccupati”, dopo aver perso qualunque riferimento concreto, viene ridotta a “costo” e quindi a fatto negativo, cosi come era avvenuto per “anziani”, “disabili”.
Lo schema ed il metodo, astratto, non scientifico, maledettamente ideologico, restano invariati.
Ma ancora.
Il tema della disoccupazione viene poi ridotto ulteriormente al problema della “responsabilità”, indicando nella rinuncia (ingiustificata) del singolo lavoratore l'origine principale del fenomeno della disoccupazione!
Vecchia tesi: disoccupazione volontaria o involontaria...
Vecchia teoria ultra liberale, secondo la quale la disoccupazione esiste in quanto alcune persone rifiutano di essere impiegate per mantenere attivi alcuni loro privilegi, o per pigrizia, immobilità, per cultura e preferiscono appoggiarsi al sussidio dello Stato.
E a questa becera teoria si rifà in modo strumentale il ministro, che poi ci chiarisce che:
“La rigidità dei trattamenti costituisce, soprattutto con riferimento ai gruppi più tutelati, un ostacolo oggettivo ai processi di mobilità e al dinamismo del mercato”
Nulla dice di chi siano questi “gruppi più tutelati”: sono i manager ultra milionari e de responsabilizzati di ogni loro errore o disastro?; nulla del come sia possibile che questi siano ostacolo al mercato;
nulla sul concetto di mobilità che resta vago, fumoso: mobilità in Italia? All'estero (si vedano le
de-localizzazioni e il grado di internazionalizzazione delle imprese)?
Rispetto al profilo professionale? Alla mansione?
Lasciato così sembra più assomigliare al concetto di “adattabilità”del lavoro a non meglio precisate esigenze produttive.
Anche in questo caso, insomma, ci si limita a indicare, in modo generico, astratto, ideologico una nuova categoria “i più tutelati”, che in sé non vuol dir nulla (almeno così esposta!), ma che serve all'autore per fare un ulteriore passo in avanti nel suo ragionamento, gli serve come trampolino per passare all'altro pilastro di questo libro verde.
Sempre a pag. 8 troviamo:
“ In assenza di un mercato del lavoro aperto e trasparente e....mobilità e reinserimento al lavoro”.
“Il cuore delle politiche sociali, per una società che vuole essere attiva, è costituito dalla ricomposizione delle politiche del welfare to work”
“E' il lavoro che garantisce ...”
“L'obiettivo è un drastico innalzamento dei tassi di occupazione regolare- soprattutto di donne, giovani e over 50..”
“Proprio un mercato del lavoro con queste caratteristiche costituisce la maggiore tutela per il lavoratore”
E a chiusura del capitolo fa alcune domande:
“Per incrementare...”
“Quale può essere il ruolo delle relazioni industriali...”
Bene, dopo aver liquidato con il concetto della responsabilità, il fenomeno della disoccupazione, al ministro non resta adesso che passare all'ultimo capitolo del suo libro- che è poi il centro ed il motore di tutto il suo pensiero: il lavoro, i lavoratori, il mercato del lavoro.
È qui il vero interesse, il vero obiettivo dell'intero libro verde: introdurre, in modo vago e confuso, i principi del Libro Verde europeo sul mercato del lavoro!
È in sostanza l'attacco al mondo del lavoro, in Italia, allo statuto dei lavoratori, alle organizzazioni sindacali, ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Questo libro Verde altro non è che il modo, mistificato e ideologico, con il quale questo dibattito avviene in
Italia!
Da una classe politica e imprenditoriale quale quella italiana, da una borghesia stracciona e pasticciona quale è stata ed è la borghesia italiana, non ci si poteva poi aspettare di più....
Partiamo da qui:
“Proprio un mercato del lavoro con queste caratteristiche costituisce la maggiore tutela per il lavoratore”.
L'intero primo capitolo costituisce, in effetti, premessa ideologica e strumentale a questo assunto.
È qui il cuore di quel Welfare to Work:
il “Welfare” è insufficiente (allungamento vita, variabili demografiche, politiche sulla disoccupazione sbagliate e inefficaci, sprechi, etc...);
il “Work” è mal regolato (troppe rigidità, regole, tutele, etc...).
La tesi è:
Attraverso una deregolamentazione del mercato del lavoro e dei contratti di lavoro, si libera il mercato da vincoli, lacci e laccioli e si ottiene un incremento della occupabilità dei singoli.
Un tale incremento di masse di persone impiegate al lavoro saranno la base, l'elemento materiale, che consentirà di ricostruire un nuovo Welfare! Diversamente destinato a fallire lasciando senza “protezioni” anziani, disabili, disoccupati, donne, madri e bambini.
Non a caso, allora, tutto ciò che è over 65, 75, 80 anni è definito il male assoluto ed è contrapposto a tutto il resto della società che per sua condizione è, o può essere, attiva: giovani, donne, madri, disoccupati, poveri, emarginati.
Questo è dunque il concetto di società attiva: produrre in continuazione, “innalzare drasticamente i tassi di occupazione”, “aumentare l'occupabilità” (che on è l'occupazione!)
Ed infatti non dice di quale occupazione si parli e del come sia possibile realizzarla, ovvero di quale piano industriale e di sviluppo del paese si renda necessario per raggiungere un simile obiettivo.
Anche in questo caso l'intero impianto di ragionamento è astratto e inconsistente.
Si estrapola in modo forzato un dato (più contribuzione da lavoro regolare, più risorse da investire nel Welfare) dal più generale contesto dell'andamento economico, produttivo, finanziario, sociale, culturale e politico italiano e internazionale e si pretende che la cosa funzioni lo stesso.
Anzi si lega proprio a questo la garanzia di sopravvivenza del welfare italiano!
Il tema dell'occupazione e della disoccupazione è esattamente uno dei temi più ostici su cui l'intera politica europea si è arenata ed è naufragata.
Dal Pinao Delors in avanti, non si è stati capaci di dare risposte a questo problema che cresce in modo costante ovunque, non solo in Italia.
Come intende il ministro risolvere questo annoso tema, nelle drammatiche condizioni economiche e produttive italiane?
Come ritiene di recuperare quel gap enorme di sviluppo, ricerca, innovazione che soli possono garantire un tessuto imprenditoriale e produttivo “competitivo” e non destinato a fallire nel giro di qualche mese?
Nulla si dice di tutto questo, ma il ministro ha “fede” che si realizzi lo stesso con la semplice introduzione di quella de-regolamentazione del mercato del lavoro di cui sopra.
Egli ci ripropone acriticamente il cuore del libro verde europeo di cui, fedelmente, si fa scudiero.
Egli ci propone insomma la vecchia ricetta dello sfruttamento intensivo e qualitativamente basso del lavoro e della produzione, che è poi il cuore di quella de regolamentazione che va chiedendo.
Ma come procedere, allora, verso una tale deregolamentazione del mercato del lavoro?
Attraverso una riscrittura delle relazioni industriali.
Il richiamo al rinnovo del Modello Contrattuale, oggi al confronto tra Sindacato Confederale e Confindustria, è diretto e chiaro!
Il ministro anticipa, quasi sembra suggerire, la forma ed i contenuti che quelle relazioni industriali e quel modello contrattuale dovrebbero assumere e fare propri: bilateralità, welfare contrattuale, etc.. come vedremo poco più avanti.
Per ora, sempre sui temi delle politiche attive per la disoccupazione, comincia ad introdurre un ulteriore tema chiave del suo impianto.
Riguardo allaindennità di disoccupazione ci chiede se non sia necessario sviluppare “al tempo stesso un sistema integrativo su base mutualistica” , un “secondo pilastro mutualistico”; chiedendosi sempre se attraverso la Bilateralità non fosse possibile sviluppare questo strumento.
Vediamo qui che si fa avanti un altro pezzo forte del presente libro verde.
Se poco prima infatti si è sostenuto che occorre aumentare l'occupablità per poter aumentare i contributi e per questa via sostenere e riformare il welfare, adesso si introduce un concetto nuovo: il self made, il fare da soli, il pilastro mutualistico integrativo!
Questo concetto lo troveremo ampiamente sviluppato nel successivo capitolo, fissiamo qui solo il dato di fatto che a fianco delle risorse ottenute con l'aumento della occupabilità (risorse oggettive derivanti dal lavoro di sempre più persone) qui si dice che ogni singolo lavoratore dovrà costruirsi, su base mutualistica, il proprio pilastro integrativo per quando resterà disoccupato.
Si scarica cioè sui singoli lavoratori l'onere di fare fronte da se stessi ad un evento di disoccupazione.
E che questo sturamento possa essere gestito attraverso la bilateralità ovvero con e attraverso i sindacati che quindi, in questa visione, garantirebbero il passaggio diretto di quote economiche a sostegno dei disoccupati in modo diretto! Stabilendo così un nuovo e diverso rapporto di dipendenza e di bisogno tra lavoratore e organizzazione sindacale!
Analogo ragionamento si sviluppa sui temi del collocamento e della formazione nei punti 5 e 6 della stessa pagina 9.
Prima di chiudere il capitolo, tuttavia, il ministro compie un altro colpo di scena e introduce il concetto della povertà assolutache ci dice non essere stata“nemmeno individuata perché nascosta dallamancanza di rappresentanza e da un più vasto-ma diverso- fenomeno di impoverimento relativo”.
E con questa frase interrompe il ragionamento, per riprenderlo solo più avanti....
Noi seguiremo il suo percorso ma fissiamo subito un concetto:
la povertà assoluta non ha rappresentanza: chi se ne fa carico? Il ministro sembra candidarsi a questo ruolo.
In che modo e per quale fine vengono poste in relazione ? La cosa apparirà chiara verso la fine dell'esposizione del libro.
Il capitolo sulla “vita buona nella società italiana” presenta una serie di affermazioni vaghe e generiche sui “valori” astratti di una società: famiglia, etc....
Ribadisce ancora il concetto di società attiva e quindi di prevedere come strutturale un ingresso immediato nel mondo del lavoro, senza dire, anche qui, quale lavoro, in che modo, lavoro specializzato, povero, con che percorsi di studio. 1 , etc...
E' un susseguirsi di affermazioni tranquillizzanti circa il fatto che non si taglierà il welfare ma lo si riqualificherà migliorandolo, etc..etc. Che si punterà ad un equa distribuzione delle risorse, etc..
A pag. 11 poi si afferma:
“Una moderna politica sociale si occupa e determina...”
Insomma la moderna politica sociale è di fatto ¾ dell'intera politica di uno Stato!
Ecco allora il venire alla luce del carattere complessivo del progetto che qui viene esposto e che confluirà in un successivo Libro Bianco, come all'inizio si diceva: si vuol legare la riforma del mercato del lavoro, la deregolamentazione dei contratti e del mercato del lavoro, l'occupabilità, la produttività delle imprese ed i salari, la formazione e la riqualificazione professionale, nonché il coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell'impresa all'intero capitolo del welfare, in un rapporto dove il primo dei due termini, l'impresa e il mercato, è prevalente ed anzi “conditio sine qua non” rispetto al secondo il lavoro , i lavoratori.
È insomma la dipendenza della politica sociale alle politiche d'impresa!
È il legare un sistema di difesa e tutele sociali (ancora non quantificati ma di cui già si dice debbano essere ridotte) alla necessità di cedere tutele e diritti sul piano del lavoro, dei contratti, del mercato del lavoro.
È infine la cancellazione della politica sociale per come si è venuta definendo dal dopo guerra ad oggi, sostituita con una cultura della centralità d'impresa che predetermina in modo assoluto il grado e l'esistenza stessa di un sistema di difesa sociale per i lavoratori non attivi, anziani, malati, etc...
È la brutalità della centralità di impresa!
All'interno dei compiti della moderna politica sociale troviamo tuttavia un capitolo che merita maggior attenzione: la ricerca biomedica e la connessione con l'innovazione industriale.
Questo elemento sembra quasi un corpo estraneo nel testo; sembrerebbe semplicemente un particolare indirizzo di sviluppo dell'economia, al pari di quello di alti settori industriali. Ed invece rappresenta un elemento chiave nella politica economica del governo in tema di Pubblica amministrazione e cioè quello di legarsi alle imprese chimico farmaceutiche orientando risorse economiche e sociali di diversi campi (previdenza, assistenza, etc..) e spianando loro la strada – più di quanto oggi già non sia aperta- nella società italiana.
Diritto alla vita, alla salute, famiglia, sono solo proiezioni ideologiche dietro cui si celano gli interessi materiali del governo Berlusconi.
Qui dentro va letto il piano di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione che vuole trasformare i grandi ospedali in Spa, le Università in Fondazioni, etc..
Sono funzionali a questo progetto!
La scheda sulla ricerca biomedica a pag. 12 è illuminante da questo punto di vista.
Cap. II
2. Il nuovo Welfare integrato delle pubbliche amministrazioni, delle comunità e della responsabilità personale.
In questo capitolo si affronta il tema della povertà assoluta lasciato a metà poco prima.
L'asse centrale attorno cui ruota il capitolo é:
*“reddito minimo” per le persone in età da lavoro e
* “sussidio” per chi non lavora,
o per raggiunti limiti di età (= anziani)
o per stato di bisogno (= disabili).
Su questo e quindi sul contrasto alle “povertà estreme”, viene detto, ( pag.14) occorre concentrare principalmente gli sforzi e le risorse pubbliche da parte dello Stato che vuole dirsi “realmente fondato sulle opportunità e sulla solidarietà”. (vedi domanda 12)
Mentre, riaprendo un dibattito in Italia sul reddito minimo, definire le tutele di base di chi è in età da lavoro, costruendo così due percorsi distinti di lotta alle povertà.
I concetti chiave sono:
promuovere l'autosufficenza: welfare to work, deregolamentazione mercato del lavoro, etc...
sussidio per chi non può essere “attivo” ( to work) e questo è il welfare residuale.
Per autosufficienza si intende:
“..Occorre auto-organizzare il futuro, costruire anche direttamente il proprio percorso di bene-essere lungo tutto l'arco della vita”
“ E' l'idea della persona, peraltro non isolata, che risponde in prima istanza da sé al proprio bisogno..”
Questo, infine, è il welfare delle opportunità ed ella solidarietà: l'Arrangiatevi! elevato a principio di vita!
Fondamenta del nuovo modello di welfare sono:
il superamento della “contrapposizione tutta ideologica, tra stato e mercato, ovvero tra pubblico e privato”;
“un'alleanza tra mercato e solidarietà attraverso un'ampia rete di operatori indifferentemente pubblici o privati..”.
Ovvero l'apertura completa al privato, all'interesse privato ed alla logica del profitto e del business, di tutto il grosso mercato dell'assistenza, dell'anziano, dello stato sociale.
In un'ottica di sottrazione costante e completa allo Stato, al pubblico-bollato quale inefficiente e sprecone- della gestione dei servizi alla persona.
Ma ancora.
“Fondamentale in questa prospettiva è la capacità di fare comunità, a partire dalle sue proiezioni fondamentali che sono la famiglia, il volontariato , l'associazionismo, l'ambiente di lavoro, sino a riscoprire luoghi relazionali e di servizio quali le parrocchie, le farmacie, i medici di famiglia, gli uffici postali, la stazione dei carabinieri”.
L'intero passo si presenta quale destrutturazione funzionale dello Stato e illustrazione di un nuovo modello sociale composto da singole articolazioni della società civile di oggi, scelte in modo arbitrario e secondo una logica propria dell'autore che non ci illustra ma che egli stesso da per assunta in modo universale.
L'intera operazione è più il tentativo disperato di disegnare una società che non c'è più o che è ormai fortemente in crisi, ma che si cerca di recuperare, in modo vago e ideologico, dandola per verità assoluta.
Non c'è nessuna indagine sociologica richiamata o riportata, né alcuna analisi delle dinamiche della società moderna a cui l'autore si appoggia per sostenere la propria tesi, egli semplicemente si rifà a “valori “ astrattamente intesi, a suoi valori, che ritiene essere... quelli di tutti.
In realtà più si spinge su questa strada più denuncia tutto il so essere disperato e inconsistente mettendo in luce la pochezza del pensiero e la grettezza del progetto politico.
Occorre tuttavia soffermarsi su questo passo e provare a leggere dietro le righe, poiché, fin dall'inizio, l'autore ci ha abituato a continui momenti di dissimulazione delle sue reali intenzioni.
Al di là dell'obolo concesso a influenti fasce della società che chiedono visibilità e centralità formali, proviamo a vedere uno per uno i pezzi del nuovo modello sociale appena descritto, del nuovo “fare comunità”, andando oltre il riflesso ideologico che subito ci si para davanti.
“famiglia”: nell'accezione del libro verde famiglia non è tanto il nucleo affettivo e relazionale fondamentale per la formazione del cittadino e/o del credente, quanto uno dei momenti sui quali si scaricano i costi e i rischi della gestione del welfare- per la quale si è già detto quanto è importante la componente privata- e da cui, in ultima istanza, si dirottano risorse da far cadere nelle mani di imprese private e assicurazioni tout court!
Questo passaggio è evidentissimo allorquando, poco più avanti, l'autore ci parla dei “fondi privati”, della socializzazione dei rischi e della ricchezza finanziaria delle famiglie; temi che riprenderemo anche noi più tardi.
“volontariato/assocaizionismo”: questo è un pezzo importante della gestione anche quotidiana e strategica del welfare oggi, ma qui, nel libro verde, ha due chiavi di lettura. La prima vede volontariato e associazionismo come disarticolazione dello Stato in forme assi meno strutturate e tutelanti e quindi sono usate in funzione anti-Stato; la seconda è quella di far cadere anche queste dentro una gestione privata del business dell'anziano, della salute, etc.. riservando loro sempre più il ruolo marginale di “dama di carità” e quindi impoverendo drasticamente la più corposa esperienza e presenza che quelle componenti hanno oggi.
“ambiente di lavoro” : non è un caso che non si dica luogo di lavoro. Il riferimento cercato è infatti a quel complesso di elementi che caratterizzano non le condizioni oggettive di lavoro ( sicurezza, carichi, orari, democrazia, etc..) ma all'elemento soggettivo della percezione dell' ”ambiente di lavoro”: ostile, accogliente, sereno; puntando cioè ad annacquare tutte le tematiche concrete e reali che insistono nei luoghi di lavoro, fino a far scomparire “lavoro”. Per inciso anche il tema della sicurezza dei luoghi di lavoro è appena accennato, in modo generico, e comunque condizionato dalla richiesta di de regolamentazione del mercato del lavoro.
La cosa suona come un non senso: tutti gli indicatori e le esperienze empiriche e ricerche scientifiche confermano un aumento di incidenti e infortuni sul lavoro in presenza di un mercato sempre più de regolamentato.
Si ribadisce, cioè, anche in questo la netta dipendenza del lavoro dall'impresa anche nelle sue componenti più delicate come quelle della sicurezza.
Da notare infine che lo stesso capitolo della sicurezza rientrerebbe in quella gestione bilaterale sindacato/impresa per la quale sono previsti finanziamenti e sgravi, assieme al collocamento, formazione, certificazione dei contratti di lavoro, pensioni, etc..
“parrocchie”: qui la concessione al Vaticano è evidente e non richiede ulteriori approfondimenti se non un richiamo all'ingerenza ed all'arroganza con la quale il Vaticano invade gli spazi della vita pubblica dello Stato, della sua stessa politica, condizionando e imponendo- attraverso propri uomini collocati trasversalmente in tutto il Parlamento- all'intera società i propri asfittici e anacronistici valori, concetti, pregiudizi, contribuendo al più generale imbarbarimento delle coscienze, giocando alla lacerazione della coscienza civile di un paese al fine di affermare se stessa, il suo essere un mondo morente che la nuova società e lo sviluppo dell'uomo stanno spazzando via.
“farmacie” e “medici di famiglia”: i due momenti vanno letti assieme, oltre che nella loro veste ideologica, anche in rapporto a tutto quel corposo e ricco capitolo della Biomedica di cui l'autore ci ha precedentemente parlato.
Sono infatti, insieme alla privatizzazione degli ospedali e della Sanità in generale (vedi piano industriale della Pubblica Amministrazione di Brunetta), gli altri due punti di interesse e di sbocco per il mercato delle chimico farmaceutiche e delle prestazioni sanitarie sul territorio, al di fuori dai percorsi ospedalieri.
C'è quindi un evidente interesse materiale dietro entrambi i momenti che non dobbiamo dimenticare nel momento in cui ci accingiamo a leggere l'idea di riorganizzare i medici di famiglia, la cura sul territorio, la salute, la domiciliarità, etc, etc,
“uffici postali”: in modo assai simile bisogna ricordare che la forza delle Poste spa, invidiata da qualunque grande banca, sta nella capillare presenza di sportelli e nella rete fittissima di questi sportelli che si trovano già oggi fin anche nel più sperduto paesino di montagna italiano!
Non sono mancati tra l'altro tentativi di assorbire questa rete, senza successo, da parte di colossi bancari italiani ed esteri.
“Stazione dei carabinieri”: è il controllo del territorio, uno strumento attraverso il quale lo Stato esercita la propria presenza, e che nella logica del libro verde, proprio per quell'opera di destrutturazione dello Stato e dello stato sociale, viene costretto al solo momento di controllo forte, armato, di un territorio sempre più abbandonato a logiche di profitto e di interesse con tutto quello che ne consegue in termini di deterioramento delle condizioni di vita, lavoro, cultura, etc..di gestione delle tensioni sociali.
Ma procedendo oltre, a pag 17 il ministro scrive:
“Molte comunità locali hanno già ampiamente dimostrato...”
Oltre a ribadire ancora una volta la filosofia dell'Arrangiatevi!, si introduce qui il concetto di “sussidiarietà” quale asse portante dell' ”autosufficienza” di cui prima si diceva, e che sarebbe alla base del nuovo rapporto centro periferia, ovvero del governo centrale e delle “comunità locali”.
Ma cosa sono le “comunità locali”? Cosa si intende per “comunità locali”?
Sono gli enti locali nella loro accezione più generica? È l'amministrazione locale tout court: il sindaco, il consiglio comunale, etc..? è l'idea del “piccolo”, del governo politico-amministrativo su piccola scala? È l'amministrazione delle regioni? Cos'è?
L'espressione usata è anch'essa generica; vuole essere rifermento alle realtà delle cittadine del centro nord, virtuose, come nel capitolo I si diceva esplicitamente , ma manca qualunque parametro per poterle identificare e valutare, in termini di positività o negatività rispetto ad una buona gestione delle risorse pubbliche e delle politiche sociali.
“Comunità locali” diventa la nuova categoria, astrattamente intesa, da contrapporre alla categoria “Stato- pubblico” organizzato oltre che all'attuale “stato sociale”.
Il metodo come si vede è lo stesso: vuota astrazione e decontestualizzazione; riduzione forzata della complessità alla linearità di poche categorie astratte, all'unus; creazione di uno schema rigido e precostituito; contrapposizione frontale con quanto si vuole criticare; auto giustificazione del proprio pensiero.
A ben guardare, questa auto organizzazione delle comunità locali è già quella destrutturazione dello Stato.
È già la fine dello Stato.
A ben guardare, il concetto di organizzazione sociale che il ministro ci addita quale modello positivo e guida, quello delle comunità locali, rischia di assomigliare maledettamente alle vecchie Signorie e Principati del '500! se non ai Comuni del 1200!
Di assomigliare cioè a forme feudali di organizzazione sociale degli uomini, più arretrate e soprattuto che esprimevano bisogni assai meno complessi di oggi, di quelle di uno stato moderno.
Ed è proprio questa oggettiva complessità e ricchezza che il ministro non vede e non sa gestire e vuole ridurre dentro uno schema che non nega tanto lo Stato italiano in quanto tale, storicamente determinato; non nega, cioè, una particolare gestione dello stato italiano quanto il concetto stesso di Stato moderno!
La Sostenibilità
L'assunto iniziale è:
la sostenibilità del modello sociale è a rischio per dinamiche di spesa difficilmente comprimibili come nel caso della previdenza.
Insomma ancora la logica della contrapposizione: pensioni conto stato sociale.
“Il nostro welfare ..è infatti finanziato da troppo pochi attivi”
Il problema sta nel fatto che
“Esso dà oggi troppo a troppo pochi”.
E' falso!
Cos'è “troppo”?
E in relazione a cosa? Ai bisogni reali?E cosa è bisogno reale? È possibile affermare che oggi lo Stato dia anche il superfluo?
Questo passaggio è tremendamente ideologico.
Manca inoltre qualunque riferimento a evasione ed elusione contributiva; al differente apporto- questo sì non equo e omogeneo- da parte di diverse categorie di lavoratori non dipendenti, quali i liberi professionisti, etc..
Ad ogni modo la soluzione viene identificata nell'allargamento del numero di persone che partecipano al mercato del lavoro allargando la base di contribuenti.
Gli obiettivi di Lisbona relativi ai tassi di occupazione da raggiungere sono alla portata, si dice,
“...considerata l'imponente quota di economia sommersa, nella misura in cui sapremo liberare il lavoro dai troppi disincentivi normativi che ancora comprimono la vitalità e il dinamismo del mercato del lavoro senza offrire vere tutele alle persone”
Bene, qui si fanno due affermazioni:
è possibile regolarizzare l'imponente economia sommersa
questa economia sommersa è legata al peso normativo esistente che comprime la vitalità del mercato del lavoro italiano
Si deduce pertanto che l'economia sommersa, nella visone del ministro Sacconi, è determinata dall'eccesso di regole che spinge molti imprenditori ad assumere in nero, producendo evasione fiscale e contributiva e quindi contribuendo ad aggravare l'insufficienza di cui prima si diceva rispetto alla sostenibilità del sistema sociale italiano.
E quindi la grave crisi del modello sociale che imperversa in Italia è causa delle attuali regole che gestiscono il mercato del lavoro.
Bene, ma cosa sono queste regole?
Le fonti sono due sostanzialmente: quelle legislative e quelle contrattuali.
Sul piano legislativo esistono almeno due filoni che negli ultimi anni si confrontano – e di cui troviamo ampia testimonianza nelle pagine del Libro Verde della UE: quello del diritto del lavoro di Gino Giugni, dello Statuto dei Lavoratori degli anni'70 e quello più recente del giuslavorismo, che dagli anni '90 si è sviluppato fortemente e che costituisce l'attuale riferimento per il mercato del lavoro italiano ed europeo, del ministro Tiziano Treu con le leggi di riforma sul lavoro e del ministro Maroni con la legge trenta.
L'altra fonte sono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Ora, se escludiamo l'esistenza di forme di rigidità nei modelli disegnati dal pacchetto Treu e dalla Legge 30, si intuisce facilmente con chi Sacconi se la stia prendendo: Statuto dei Lavoratori e CCNL!
E quindi l'intero passo si legge così:
la causa dell'economia sommersa, del lavoro nero, dello sfruttamento bestiale di lavoratori italiani ed immigrati, delle tante morti e infortuni sul lavoro, del buco fiscale e contributivo che grava sulla società italiana è causa dello Statuto dei Lavoratori e dell'azione dei Contratti Collettivi di Lavoro!
La cosa si commenta da sola!
La storia di questo paese ci dice chiaramente che le cose non stanno affatto così, ma anche volendo accettare una simile impostazione, il ministro non fornisce alcun elemento a riguardo che possa aprire una discussione, non fornisce alcun elemento a sostegno della propria tesi. Eppure questo passaggio costituisce il cuore di tutto il suo ragionamento, di tutto il libro verde, non è un tema marginale!
Allora perché non vi si dedica un minimo di analisi e di spazio?
Ancora una volta il tratto ideologico è quello prevalente: si fanno affermazioni gratuite riallacciandosi ad un dibattito reale che si sta compiendo in Europa attorno al mercato del lavoro ed al sistema di regole che occorre definire per renderlo sicuro ed efficace senza però prendervi mai parte!
Ci si limita ad indicare, alludere, a problemi insormontabili e senza nemmeno discuterli e sviscerarli si indicano cause e soluzioni già pronte all'uso, facendo ricorso a categorie, strumenti ed analisi vaghe, confuse, astratte, precostituendo tutto il ragionamento in uno schema rigido e già definito a monte: l'attacco al mondo del lavoro, ai contratti nazionali, allo Statuto dei Lavoratori, ai sindacati, a diritti e salari, alla sicurezza, allo stato sociale universale e gratuito per tutti, alle pensioni.
A ben vedere poi è la stessa Costituzione italiana che viene riscritta di sana pianta in molti dei suoi principali articoli fondamentali: diritto al lavoro, alla salute, etc...
A ben vedere è una pesante riscrittura di tutta l'organizzazione sociale italiana rifondata sulla centralità d'impresa e non più su quella del lavoro!
È qui il cuore di tutto il libro verde del ministro Sacconi.
Ma il cruccio del ministro resta la spesa, realizzare la Sostenibilità attraverso l'innalzamento dell'età pensionabile, l'introduzione del privato ed i fondi complementari.
A questo punto l'autore introduce il concetto della Protezione Sociale indicando nel futuro un maggiore ingresso di operatori privati in modo più strutturale e organizzato, lasciando allo Stato il solo compito di fornire agevolazioni fiscali.
Ovvero aiuti dallo Stato per operatori privati che gestiranno, in vece dello Stato, i servizi di protezione sociale.
Lo strumento principe cui il ministro pensa è quello della Previdenza complementare e dei fondi sanitari complementari, introducendo e potenziando portabilità e reversibilità.
Insomma il ministro chiede soldi per le assicurazioni, che doveranno gestire il ricco business delle pensioni, e per quegli operatori privati che gestiranno il business dell'assistenza, dell'anziano, degli ammortizzatori sociali, sgravando lo Stato da questo ingrato ed economicamente oneroso compito.
Provando a riassumere le misure fondamentali esposte nel libro verde possiamo dire che:
Pensioni e Sanità sono i due capitoli individuati per i quali va ridotto il peso del pilastro pubblico attraverso la gestione da parte di operatori privati, diffusione fondi privati, etc..
“negli altri comparti di spesa sociale non è necessario ridurre la dimensione del pilastro pubblico”, pur non dicendo cosa siano gli altri comparti di spesa sociale e in che misura verranno garantiti e con quali strumenti.
“Lo sviluppo del pilastro privato complementare è un passaggio essenziale per la riqualificazione della spesa e la modernizzazione del nostro Welfare”
Subito dopo qualifica il termine “privato” con “istituti redistribuivo-assistenziali”, ovvero assicurazioni, etc.. che non riescono a svilupparsi a causa della “eccessiva intermediazione dello Stato nella predisposizione dei redditi per la quiescenza”.
La pensione si configura ormai come un chiaro fatto assicurativo/commerciale, perde il senso di riconoscimento e sostegno per una vita dignitosa a quei lavoratori non più in età da lavoro, cessa di essere momento alto della organizzazione sociale degli uomini di uno Stato moderno e vine ridotta ad acquisto di prestazioni assicurative a carico del lavoratore che va in pensione e a carico della stessa fiscalità generale, come poco dopo si precisa.
Ovvero i costi di queste operazioni assicurative ricadono nuovamente sulla società, sugli stessi pensionati, ma formalmente non sono più a carico del bilancio dello Stato sotto la voce spesa per pensioni!!
Mentre tutti i profitti vanno, interamente e ed esclusivamente, a quelle assicurazioni: è il business delle pensioni private.
L'autore ci spiega anche quali tipi di fondo complementare occorre realizzare:
“Lo sviluppo dei fondi su base contrattuale, delle forme di mutualità, delle assicurazioni individuali o collettive può essere la risposta alle limitate risorse pubbliche e alla domanda di accesso a maggiori servizi”.
“In particolare le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro possono dare vita ad un robusto Welfare negoziale (collocamento, ammortizzatori, formazione, sanità integrativa, long term care, salute e sicurezza sul lavoro, certificazione dei contratti) nella dimensione nazionale come in quella territoriale, organizzando una vera e propria cogestione diffusa dei servizi che danno valore alla persona”
Come si vede non ci sono solo le Pensioni ad essere gestite da questi fondi , ma è l'intero corpus del lo stato sociale attraverso ben precisi strumenti e attori, tra cui in primo luogo vengono citate le Organizzazioni Sindacali.
Questo passo è di grande importanza e sul capitolo della Governance si chiarirà meglio.
Qui sottolineiamo il fatto che se prima la causa del rovina del paese era cercata e individuata nelle stesse organizzazioni sindacali, nei CCNL, in quella parte del diritto del lavoro che tanta parte ha avuto nella storia dei contratti e della vita del sindacato, ora i sindacati diventano improvvisamente partner non solo affidabili ma preferiti e necessari alla realizzazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere!
Qualcosa è successo o altrimenti l'intero passo è semplicemente falso perché palesemente in contraddizione con quanto sostenuto fino a poco fa.
In effetti non si tratta né di una svista né di un errore.
Il riferimento del ministro alle Organizzazioni Sindacali è voluto e scelto: quello che cambia è il ruolo che si assegna loro!
Come ben si comprende dall'elenco dei sottocapitoli che compongono quel robusto Welfare di cui Sacconi parla:
collocamento; ammortizzatori; formazione; sanità integrativa; long term care; salute e sicurezza sul lavoro; certificazione dei contratti di lavoro.
Insomma è la riproposizione dell'impianto del Patto per l'Italia, riveduto e corretto, diluito e dissimulato: sviluppo della bilateralità attraverso cui far gestire alle Organizzazioni sindacali uno stock di servizi alla persona modificandone assetto, natura e funzione nel paese, orientandolo verso un sindacato dei “servizi” che ingloba una serie di funzioni prima gestite dallo stato e che quindi rientra in quel percorso di finanziamento previsto per tutti gli operatori privati coinvolti in questa operazione.
Ed è anche più del vecchio patto per l'Italia! poiché oggi non si presenta più come “semplice” affondo contro il sindacato; non più come fatto clamoroso e provocatorio di una destra arrogante e rampante; non più “provocazione”, ma lucida esposizione di un nuovo modello di società e quindi di un nuovo modello di sindacato, al cui interno il nuovo Patto si presenta quale elemento, ingranaggio, di un piano più generale che già si è avviato nel paese!
È il superamento del modello di sindacalismo del novecento i cui segni tangibili troviamo nei richiami “all'alleanza tra capitale e lavoratori”, al “superamento della contrapposizione tutta ideologica tra imprese e collaboratori”, nell'introduzione di un “sistema duale”-di tipo europeo- di “partecipazione dei lavoratori agli utili d'impresa”- per socializzarne i rischi (oggi elevatissimi) dietro la falsa promessa di “contare di più “ in azienda, ma sostanzialmente soffocando lo strumento della contrattazione che solo, fino ad oggi, ha costituito reale garanzia di intervento nelle scelte d'impresa per i lavoratori.
Progetto contro il quale non esiste nel paese una opposizione reale in grado di denunciarlo e contrastarlo!
Un progetto organico, quindi, e che non incontra ostacoli nella società, ma anzi trova l'appoggio ed il sostegno completo di larghissime fasce dell'inero Parlamento italiano oltre che del governo.
È quindi un progetto pericoloso proprio per il non avere competitori o avversari.
A questo riguardo può essere utile e istruttivo uno studio del “Manifesto sul Lavoro” del PD dell'Aprile 2007, targato Treu-Damiano e che ha riscontrato sostegni in modo trasversale tra le stesse organizzazioni sindacali.
Un simile quadro non può non rovesciarsi immediatamente sulle scelte e le politiche sindacali, che per loro natura non possono prescindere dal contesto concreto nel quale agiscono.
Il dibattito/confronto sul modello contrattuale e le posizioni di Confindustria è specchio di questa realtà.
Quanto prima fu condotto in modo ideologico e scoordinato oggi è progetto organico che trova largo sostegno.
Inoltre, il contesto di gravissima crisi economica, finanziaria e agraria internazionale, le cui dimensioni non hanno mai registrato eguali nel corso della storia, sono la cornice di questa situazione e fungono da catalizzatore: la crisi spinge la borghesia italiana ad accelerare e acuire le forme di sfruttamento e di rapina della società e del lavoro nel tentativo di sopravvivere un giorno in più.
Lo strumento scelto è ancora una volta, come da sempre avvenuto nella storia centenaria della borghesia italiana, quello dello sfruttamento intensivo della forza lavoro e rapina della ricchezza sociale; innovazione, ricerca, via alta allo sviluppo, sicurezza ancora una volta restano vuote frasi di propaganda, vuote fanfaluche dietro cui tornano ad affacciarsi i peggiori istinti ed appetiti della borghesia italiana.
I fondi privati.
Riprova e testimonianza di questo progetto organico lo ritroviamo esposto in modo esemplare nel capitolo dei fondi privati che sono così descritti:
“Le attività finanziarie delle famiglie sono pari quasi a quattro volte il reddito disponibile. La ricchezza complessiva netta delle famiglie , tenendo conto degli immobili, è pari a oltre sette volte il reddito. La spesa privata rimane una componente essenziale delle spese socio sanitarie delle famiglie italiane”.
“In questo quadro, le diverse forme di mutualità fra privati , realizzate attraverso la bilateralità, le assicurazioni private o le forme miste, sia quelle di natura previdenziale che quelle di natura socio-sanitaria, possono concorrere in maniera efficiente ed equa a migliorare la gestione dei rischi, specie di quelli a maggior rilievo”.
“..al fine di orientare e convogliare la spesa privata verso una modalità di raccolta dei finanziamenti che, nel rispetto del principio di solidarietà nazionale, sia in grado di porsi al fianco del finanziamento di derivazione fiscale ed integrarlo. Si potrebbe favorire così la socializzazione dei rischi e la conseguente risoluzione dei problemi di selezione degli iscritti”.
Nulla di nuovo nemmeno qui.
È il tentativo di rastrellare le risorse economiche private delle famiglie italiane per dirottare verso operatori privati, magari anche sindacali attraverso la bilateralità, al fine di auto costituirsi una forma di welfare basata sulla quantità di capitale che ognuno porta al fondo e per la quale può essere corrisposta una specifica erogazione di servizi, contrattualmente previsti.
È la privatizzazione completa dello stato sociale.
È il modello americano, dal quale gli stessi governanti USA cercano di tornare indietro...
Si noti inoltre come lo stesso passo parli chiaramente dei mutui delle case ( gli immobili): il riferimento all'esperienza americana di impegnarsi anche i propri mutui ritorna a fare capolino!
Sostanzialmente l'intero progetto è' il ritorno al passato, alle mutue, alla fine dello stato sociale.
È la piena affermazione del profitto nella vita sociale degli uomini.
È il ritorno alla “cultura della donazione”, come lo stesso ministro la chiama parlando del 5 X 1000: il pietismo sociale, la carità, l'Arrangiatevi!
La Governance
Riguardo al governo del modello sociale il ministro ci dice che è auspicabile che passi ilFederalismo fiscale, ma che nel frattempo si può giungere a risultati analoghi in termini di riequilibrio delle diverse situazioni presenti nel paese (nord, sud, etc..) attraverso un pilotaggio centralizzato, una sorta di Sistema Nazionale dei Servizi Socio Sanitari Regionali, già presente come idea nella riforma Biagi.
Una tale cabina di regia e un tale rapporto con le Regioni diverrebbero poi essenziali e imprescindibili una volta avviato il federalismo fiscale, che per il ministro è ormai dietro l'angolo, e pertanto lascia intendere che questa sua soluzione è già un anticipo di quanto avverrà successivamente a riforma approvata.
Ed infatti poco dopo ci dice:
“La spesa sociale e le relative politiche non potranno non diventare anzi il metro su cui costruire il federalismo fiscale”
Ovvero il federalismo fiscale si fa nella misura in cui questo capitolo di spesa è sotto controllo in ogni regione secondo un piano nazionale centralizzato ben preciso cui tutti debbono attenersi strettamente.
Un piano dove abbiamo visto quale ruolo preminente è assegnato al privato e ai fondi pensione e dove lo Stato, oltre a garantire un gettito costante di risorse economiche a queste assicurazioni, soggetti intermediari e imprese/operatori privati, elargisce forme residuali di welfare pubblico quali i sussidi o il contrasto alla povertà assoluta, lasciando quella relativa al ricco business del privato!
Il ministro lo sa bene e infatti punta subito il dito sul passaggio più delicato: il superamento della spesa storica e ammonisce le singole realtà regionali a non esagerare con tasse locali aggiuntive, per colmare il vuoto che lo stato centralizzato determinerà in quei capitoli di spesa, anticipando sanzioni per chi dovesse farlo: “una sorta di fallimento politico e di commissariamento dell'intero istituo regionale quindi la consegna dei libri non al tribunale, come nel fallimento civilistico, ma agli elettori ed alle elettrici”.
Il passo è chiaramente strumentale: la modalità stessa utilizzata dal governo per attuare le prime e consistenti misure economiche e sociali, a colpi di decreti e fiducia, sono lì a testimoniare l'assoluta indifferenza e avversità ai più elementari percorsi e strumenti democratici e istituzionali.
Pertanto ritenere che la preoccupazione reale di questo governo sia quella di “giustificarsi” o coinvolgere nelle decisioni il “popolo” suona assi strana.
Quello che forse il ministro non può dire e che un aumento vertiginoso dell'imposizione fiscale”locale” sarebbe davvero difficile da spiegare al proprio elettorato e inoltre distrarrebbe risorse economiche da quel progetto di rastrellamento di cui prima ci diceva nel capitolo dei fondi privati.
Le relazioni industriali
A questo punto l'autore fa un ulteriore salto e lega il buon esito della governance, oltre che alle istituzioni ed all'attore pubblico, al sistema di relazioni industriali.
Sul capitolo delle relazioni industriali si disvela l'intero progetto del ministro Sacconi.
“Per conseguire...e della crescita”.
“E' questa la strada...a gestire le tensioni sociali e ad affrontare l'annoso nodo della produttività”.
Le domande numero 24 e 25, in forma ideologica e dissimulata, vogliono esattamente affermare la necessità di determinare quel cambio di natura del sindacato, delle relazioni industriali, del mercato del lavoro, delle norme e dei contratti di lavoro, di cui abbiamo parlato poco prima.
La domanda 26, nello stesso solco, qualifica e precisa il meccanismo della nuova bilateralità, chiarendo il concetto di territorialità dell'azione del sindacato: gestione diffusa sul territorio dei servizi alla persona.
E chiude affermando
“E' da almeno un decennio che la riforma del sistema delle relazioni industriali è al centro dell'agenda politica e sindacale”.
Questo è il vero “cuore”, obiettivo e fine dell'intero libro verde!
Per riuscire a leggere correttamente il progetto che vi e delineato all'interno occorre, dunque, partire da qui: dalla riscrittura delle funzioni dello stato sociale, dei sindacati, delle associazioni, del modello sociale: in una della Costituzione italiana. E quindi procedere a ritroso e recuperare tutti i precedenti passaggi: dalla privatizzazione dello stato sociale, fino all'esposizione dei valori di famiglia e società che celano la socializzazione dei rischi nella gestione della spesa per le prestazioni sociali.
Il progetto unitario è questo.
I passaggi sulla famiglia, le associazioni, etc, e loro importanza sono elementi strumentali, parziali quando non del tutto falsi, vuote fanfaluche.
La borghesia italiana cerca di fare cassa ed in tempi di recessione lo fa in modo diretto, spietato, manifestando tutta la sua natura di classe, tutto l'odio per la classe operaia, per il proletariato italiano e per quello stato sociale che ne esprime i bisogni e le tutele. Così facendo, però, denuncia tutta la pochezza e la ottusità politica e progettuale che le è propria; mostra di avere il fiato corto. Tutte le componenti e le frazioni della borghesia, eccitate dalla crisi, corrono a prendere un pezzo di quel che resta della ricchezza sociale del lavoro e pretendono quote e risorse per provare a sopravvivere appena un giorno in più alla crisi. Da Confindustria alle banche, alle assicurazioni si accentua il carattere di rapina e di rastrellamento di ricchezza sociale, già per latro avviato con le misure e le leggi ( decreti!) in materia di programmazione economica e spesa pubblica. Lotta all'evasione, al lavoro nero, sviluppo, riqualificazione produttiva sono del tutto assenti in questo scenario ed anzi non possono oggettivamente che approfondirsi negativamente conducendo l'intero paese alla miseria ed allo sfruttamento intensivo delle forze produttivo.
Ma è poi qui tutto il limite di queste scelte!
Puntare sulla ricerca di plusvalore assoluto, sullo sfruttamento intensivo della manodopera a basso costo, sull'impiego al lavoro degli ultra sessantenni, sulla piena occupabilità, in piena crisi di sistema, in piena recessione è una tesi che non trova sostegno in nessuna teoria economica e non è supportata da nessuna evidenza scientifica. Come fare a garantire uno sviluppo del tipo annunciato nel Libro Verde da Sacconi con la pesante ristrutturazione economica in atto? E come riuscire a prelevare ulteriori risorse da un tessuto sociale che scivola giorno dopo giorno verso quell'impoverimento assoluto di cui lo stesso ministro parla? Da dove recuperare risorse dopo tutto quanto è stato già recuperato e tagliato negli ultimi 15 anni in termini di potere d'acquisto dei salari, pensioni, etc? Come riuscire se non precipitando nella miseria un intero paese?
È poi sempre stato questo il progetto della borghesia italiana, non scopriamo nulla di nuovo. La storia di questo paese, dall'unità d'Italia ad oggi, è lì a comprovarlo. Solo la presenza di un movimento operaio e comunista ha potuto porre un freno ed un correttivo, con le proprie lotte e le proprie battaglie, a questo carattere parassitario e accattone della borghesia italiana, che oggi torna a manifestarsi in forma acuta e macroscopica. Solo la ripresa di un tale movimento e di un fronte progressista nel paese ed in Europa può costituire argine e momento di vero progresso della società, dell'uomo. Solo rimettendo al centro il Lavoro e coniugandolo con l'attuale sviluppo scientifico e tecnologico è pensabile elaborare un vero programma di sviluppo per il paese.
1( si pensi alla riforma sulla Scuola del ministro Gelmini e di come si stia lì inverando una politica di classe nella formazione delle intelligenze della società italiana ricostruendo quel muro che vedeva gli operai e i propri figli tenuti fuori dai segmenti più alti e di qualità della formazione scolastica; o ancora la decisione di trasformare le università in fondazioni dando loro così quel carattere privato che determinerà anch'esso una espulsione da quel circuito di una fascia estesa e precisa di persone con un reddito non altissimo)