ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS
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Lettere dell’Istituto n.17
MIRAFIORI
Con gli accordi imposti a Pomigliano e, in modo più organico, a Mirafiori, la multinazionale americana Crysler-Fiat prova a dare la spallata al sindacato confederale italiano, appoggiata, in posizione del tutto subalterna, dal governo Berlusconi e da Confindustria.
Cancellazione del CCNL, violazione delle leggi sul diritto del lavoro, cancellazione dello Statuto dei Lavoratori e del diritto di sciopero: sta poi tutta qui l'essenza di quegli accordi!
Come sta tutta qui la vicenda Brunetta nel Pubblico Impiego.
È l'antico adagio della borghesia italiana che impone un rigido controllo antidemocratico sulla forza lavoro, e quindi nella società, nel tentativo di durare un giorno in più alla crisi economica.
Ma i lavoratori della Fiat si sono ritrovati a fronteggiare un attacco decisamente più ampio.
L'intera azione Crysler-Fiat in Italia si presenta, infatti, quale strategia di disarticolazione non solo del sindacalismo confederale italiano ma anche dell'intero sistema di relazioni sindacali europee ed in particolare si presenta quale autentico veleno per il cosiddetto modello “duale”, fondato sulla partecipazione dei lavoratori all'impresa, largamente diffuso nei principali paesi europei.
L'accordo di Mirafiori liquida alcune importanti direttive europee sul tema delicatissimo del trasferimento di ramo di impresa, da cui origina poi lo stesso art. 2112 del codice civile italiano, e, dal punto di vista giurisprudenziale, fa proprie le peggiori sentenze europee che ledono il diritto di sciopero, come la sentenza Ruffert, o quelle gravemente peggiorative inerenti il distacco dei lavoratori nelle società multinazionali, come le sentenze Viking e Laval, contrastate dalla Ces.
Mirafiori rimette in piedi la direttiva Bolkeinstein -congelata grazie all'azione della Ces ed al primo sciopero europeo del 2004; decreta un sistema unilaterale di deroghe ai contratti nazionali e a quelli aziendali, inaccettabile tanto per il sindacato italiano quanto per quello tedesco: si pensi al tema delle cosiddette “clausole d’uscita”; entra a piè pari nell’acceso dibattito sul sistema di relazioni industriali europee sostenendo e applicando quanto previsto dalla Revisione dello Statuto delle Società Europee, a danno dell’intero sistema “duale”.
È allora del tutto comprensibile che i sindacati tedeschi abbiano respinto l’offerta di Marchionne, chiamando in causa il governo tedesco, per liquidare la multinazionale Crysler Fiat!
Altro che questione “italiana”, altro che fatto episodico ed isolato!
A Mirafiori si ridefinisce in modo regressivo l’intero sistema di relazioni sindacali europee.
La lotta degli operai italiani della Fiat, organizzati dalla Cgil e dalla Fiom, è dunque argine a questa manovra e l’esito del referendum –sebbene abbia visto una debole affermazione dei si- è da ritenersi una conquista per tutti i lavoratori italiani ed europei.
Difendendo i propri interessi quegli operai difendono gli interessi di tutti gli altri!
La vicenda fiat pone, però, al movimento operaio italiano problemi e questioni urgenti sia sul piano politico che sindacale.
L’assenza ventennale di una programmazione economica ha acuito le fragilità storiche del paese (dipendenza materie prime, etc, etc, ) impedendo il necessario sviluppo scientifico e tecnologico della produzione. I centri di ricerca e sviluppo sono altrove e, dalla metà degli anni ’70, in Italia si sono sviluppate prevalentemente produzioni manifatturiere di tipo maturo a bassa ricerca e innovazione e ad alto utilizzo di manodopera (a basso costo). Il tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una miriade di piccole e medie imprese, ben rappresenta poi quella subalternità produttiva dell’Italia alle grandi società transnazionali, costituendone di fatto la loro rete di aziende fornitrici e subforntrici. Esattamente questo tipo di produzione “matura” viene oggi chiusa dalle grandi multinazionali, che recuperano così risorse economiche da investire nelle nuove frontiere della ricerca e scaricano sul paese il peso di una disoccupazione dilagante. All’interno della nuova divisione internazionale del lavoro, che la crisi economica ha accelerato, l’Italia assume sempre più ruolo di “colonia”, terreno di rapina e sfruttamento da parte delle grandi società multinazionali.
Le scelte della Crysler-Fiat dimostrano chiaramente che gli interessi di questa multinazionale non incrociano il sud dell’Europa e che pertanto quelle produzioni vengono superate. Termini Imprese chiude e su Pomigliano si impegnano le migliori forze sindacali per mantenere la produzione della……Panda! La stessa Mirafiori viene ridotta a lumicino, di certo c’è solo la cassa integrazione.
L’assenza di una qualunque programmazione economica trae origine dall’alleanza strategica tra grande capitale internazionale e piccola e media borghesia stabilita alla fine degli anni ’70 per far fuori il movimento operaio e le sue organizzazioni storiche di massa dalla scena politica. Da qui origina il feroce attacco al movimento operaio internazionale ed italiano degli anni ’80 e ’90; da qui origina il declino economico, politico, culturale, democratico del paese. In seguito, il susseguirsi delle crisi economiche, fa saltare quell’alleanza strategica a livello mondiale e il nuovo secolo si apre con la guerra furiosa fra queste due frazioni di classe nel tentativo di sopravvivere alla crisi. Guerra che tuttora perdura e caratterizza l’attuale fase politica (si rimanda qui alla relazione dell’Istituto “Programma”). Entrambe queste frazioni della borghesia stringono fino a minacciarne l’esistenza quotidiana. Ma per farlo devono destrutturare l’assetto stesso delle istituzioni democratiche che essi pure avevano contribuito a creare, avviando nuove stagioni di regimi antidemocratici e di perdita del consenso. Esse non possono indicare nessun futuro di sviluppo al popolo italiano.
Davanti a queste contraddizioni del campo avversario, il movimento operaio non riesce a trarne alcun beneficio. La sinistra italiana ritarda il processo di ricomposizione politica, di costruzione di un programma e di un sistema di alleanze capace di rispondere a questi bisogni; ritardi teorici e politici non consentono di riaprire tra i quadri un dibattito serio sulle forme di esistenza del lavoro e del movimento operaio, alla luce di 20 anni di fallimenti dalla Bolognina ad oggi. L’abbandono in massa di Marx e della teoria critica del capitale impedisce che le migliori energie del movimento operaio procedano sulla strada di un progetto economico e sociale alternativo a quello del capitale, di cui oggi si avverte ovunque l’esigenza, ma per il quale non si è preparati a lavorare, finendo poi per rifugiarsi in “mondi” immaginari.
Anche il piano dell’organizzazione sindacale è attraversato da profonde tensioni.
Il sindacalismo italiano di tipo confederale è ormai da anni sotto attacco e con esso tutte le sue fondamentali conquiste democratiche ed economiche. L’accerchiamento e l’isolamento sul piano nazionale attuato dal governo Berlusconi e da Cisl e Uil, unitamente alle difficoltà che il dibattito sul sindacato europeo presenta, spingono la Cgil a rivedere l’intero modello di relazioni sindacali per affrontare i colpi della crisi su occupazione e contratti.
Il tema è materia del dibattito nella Cgil, al quale per intero si rimanda.
Una delle tesi, maggiormente supportata da economisti e politici, è quella di “adottare” il modello della partecipazione dei lavoratori all’impresa sull’esempio del sistema “duale” europeo1. Sul sistema “duale” di tipo tedesco si rimanda alla Monografia dell’Istituto su “Germania”. Solo di sfuggita è bene qui ricordare che quel modello di relazioni industriali si afferma in Europa quale alternativa al socialismo sovietico e che la stessa borghesia lo alimenterà in funzione anti U.R.S.S. Caduto il socialismo reale, esteso nuovamente il proprio dominio su tutto il mondo, la grande borghesia internazionale andrà a recuperare quanto ceduto al movimento operaio attraverso la costituzione di un blocco sociale fondato sull’alleanza con la piccola e media borghesia. Le ripetute crisi economiche succedutesi dalla metà degli anni novanta hanno accelerato questo processo di rapina, diverso da paese a paese, ma confermano un peggioramento complessivo delle condizioni di vita, salario e lavoro dei lavoratori di tutti i paesi occidentali europei. Quel modello, cioè, va esaurendo la sua ragion d’essere, non è più funzionale alla borghesia che cerca in ogni momento di liberarsene, anche nei paesi con solide relazioni sindacali come la Germania. È cioè un modello legato ad una precisa fase di sviluppo del capitalismo e che non risponde alla necessaria transizione verso nuove forme di organizzazione dell’economia che la stessa crisi delinea. Pertanto, meno adeguati alla situazione di crisi del sistema capitalistico sembrano essere proprio ed esattamente quei modelli che prevedono una partecipazione dei lavoratori all'impresa, così come oggi li abbiamo conosciuti. Il dato sembrerebbe confutato dagli attuali sviluppi della contrattazione internazionale; tuttavia è proprio quel modello “ partecipativo” che non può reggere il confronto con la crisi. Esso tiene soltanto perchè le economie ed i centri finanziari dei paesi, dove quel modello si sviluppa, scaricano all'esterno le contraddizioni maggiori che la crisi genera. Così è nel caso della Germania verso la Grecia o l'Italia o la Romania, etc, etc; ma lo stesso è per a Francia nei confronti della Tunisia! Quel modello di sindacato, cioè, ha a base un’alleanza con la propria borghesia nazionale nel tentativo di sopraffare le altre. Questa strategia può pagare nell’immediato e solo nei paesi forti, producendo, però, fratture profonde nello stesso tessuto vitale della borghesia europea. Il progetto della Ue, infatti, si indebolisce per questa via e la stessa tenuta della moneta diventa una pallida speranza. Affidarsi alla propria borghesia nazionale, rinunciando ad un più generale coordinamento europeo del movimento operaio, costituisce errore grave e pericolo per le stesse organizzazioni sindacali nazionali. Ed è esattamente davanti a questo complesso scenario che riteniamo la forma confederale italiana la sola che può provare a tenere testa, in modo organico, alla grande ristrutturazione economica e finanziaria e rappresentare l’intero arco del movimento dei lavoratori: sia di quelli inglesi, tedeschi, francesi, sia di quelli greci, rumeni, spagnoli, etc. Davanti al realizzarsi di profonde spaccature tra gli stati europei e tra i loro popoli; davanti al naufragare del progetto di una Europa Unita che oggi si esprime soltanto con l’opera di rapina della ricchezza sociale attuata dalla BCE, il modello confederale italiano presenta maggiori possibilità di coesione e inclusione sociale e di tenuta dei diritti nel mondo del lavoro per tutte le realtà esistenti. È un prender consiglio, non un riproporre tout court.
La borghesia e la sua classe dirigente non sa e non può affrontare i temi che questa crisi pone poiché dovrebbe prima di tutto “leggere” il lavoro quale elemento fondante della ripresa e dello sviluppo. Origine e cause della crisi sono da ricercarsi nell’esaurirsi della forma salariata del lavoro imposta dal capitalismo e dalla contrazione delle fonti di profitto che da questo processo derivano. Su questo argomento torneremo come Istituto in una prossima Lettera specifica.
In definitiva, a noi pare che le organizzazioni politiche e sindacali italiane, che esprimono il lavoro, si trovino davanti ai temi più generali della transizione da una società ad un’altra. Questa sfida va raccolta, per una piena centralità del lavoro sulla centralità d’impresa. I problemi che quelle organizzazioni stanno affrontando originano da qui; sono i segni di una società che muore e trascina con sé tutto il passato pensiero, le strategie, le soluzioni fino ad ora attrezzate.
Esiste quindi l’urgenza di recuperare i ritardi teorici così come di superare la frammentazione sistematica degli ultimi 20 anni, per un processo di sintesi unitaria che porti la classe operaia italiana ad essere ancora una volta promotrice di un progetto di sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita del popolo italiano.
Le lotte di operai, studenti, lavoratori pubblici, ricercatori indicano che esiste la volontà di costruire una simile strada rifiutando, in modo lungimirante, l’asservimento totale dell’intero paese al mercato ed alle multinazionali.
Per dare continuità e prospettiva a tali movimenti e lotte, occorre che la sinistra italiana ponga in modo scientifico il problema della trasformazione della società secondo la centralità del lavoro ovvero riapra il dibattito di quale via per il Socialismo oggi.
Riteniamo, come Istituto di Studi Comunisti “Marx-Engels”, che il marxismo, coniugato con le attuali scoperte scientifiche e tecnologiche, costituisca ancora preziosa guida e strumento insostituibile di analisi della classe operaia su questa strada.
01/02/2011